TRIESTE – La decisione era data per scontata già da qualche mese, ma l’ufficialità arriva solo ora: l’Italia esce dagli accordi con la Cina sulla Nuova via della seta.
La questione era stata particolarmente sentita al porto di Trieste, anche per una serie di letture sbagliate dei possibili scenari. Tra chi la vedeva come un’opportunità commerciale (la maggioranza silenziosa degli operatori) e chi come una minaccia da parte di un impero che spesso non tiene in debito conto concorrenza e diritti dei lavoratori, non era mai partito un dibattito degno di questo nome.
Società di Stato cinesi si erano interessate ai lavori di Trieste marine terminal al Molo VII e avevano poi comprato una quota (poco sotto il 25%) di uno dei terminal di HHLA ad Amburgo. Troppo poco per parlare di cinesi a Trieste, ma troppo per spaventare chi non ha ancora capito che i moli in Italia non si possono comprare ma solo prendere in concessione.
La nota con la quale l’Italia abbandona gli accordi del marzo 2019 è stata consegnata tre giorni fa al governo cinese, pur sottolineando la volontà di mantenere una collaborazione strategica tra i due Stati.
La decisione arriva dopo una serie di trattative riservate da parte del Governo Meloni. Trattative dovute anche ai timori di possibili ripercussioni negative sull’export italiano (in particolare quello del lusso): una valutazione in questo senso potrà essere fatta solo nei prossimi mesi.
A livello locale, il presidente dell’Authority, Zeno D’Agostino, non ha mai voluto commentare (cosa che continua a fare) l’annunciata uscita di scena dell’Italia dalla Belt and road initiative della Cina. Così come non ha mai voluto far conoscere il contenuto di due colloqui con due diversi ambasciatori americani in Italia, dopo che gli Usa (anche per bocca dell’ex presidente Trump) non avevano certo nascosto la loro preoccupazione per un’eventuale presenza cinese nel porto di Trieste.
Del resto, le intese prevedevano anche operazioni di “bilanciamento” dall’Italia verso la Cina, che non non sono mai state attuate.
A livello nazionale, sulla questione si registra una rapida presa di posizione di Luigi Merlo, presidente di Federlogistica. L’uscita dell’Italia dalla Via della Seta è stata apprerzzata da Federlogistica-Conftrasporto perché sancirebbe infatti un principio determinante per il futuro dell’Europa: giusto promuovere in ogni modo possibile lo sviluppo dei traffici marittimi e delle relazioni commerciali, ma la cessione di grandi infrastrutture europee di trasporto e di mobilità delle merci, “per di più a un Paese che ha un preciso disegno egemonico, rappresenta da ogni punto di vista un errore strategico fatale per il futuro dell’Europa” recita una nota stampa.
«Bene ha fatto (il Governo italiano, ndr) a chiudere un accordo frettolosamente esaltato come una grande opportunità, sottacendone i rischi. L’Italia – ha detto Merlo – sta prendendo finalmente coscienza dell’importanza dei porti e delle infrastrutture logistiche, sia in chiave strategica che commerciale; la scelta di uscire dal Patto per la Via della Seta non è destinato né a compromettere i rapporti con un grande partner commerciale quale è la Cina, né a incidere negativamente sull’interscambio e i traffici». «Credo che anche in un altro settore industriale strategicamente importantissimo, quello della cantieristica – ha aggiunto il presidente di Federlogistica – il Governo si stia muovendo nella stessa direzione favorendo una rapida uscita di Fincantieri, che ne aveva già manifestato l’intenzione, dall’accordo che consentirebbe ai cantieri asiatici di costruire navi da crociera e erodere, forti di costi infinitamente più bassi, una quota di mercato italiana, ed europea, che è stata conquistata non grazie a dumping, ma a professionalità, qualità e innovazione».
Il Memorandum sulla Via della Seta è stato siglato da Giuseppe Conte e Xi Jinping il nel marzo del 2019. Trasporti, energia, impianti siderurgici, credito, cantieri navali: attraversavano tutto il sistema industriale italiano gli accordi commerciali della partnership. Il pacchetto comprendeva 19 intese istituzionali e 10 accordi commerciali. In particolare, erano stati materialmente firmati tre protocolli d’intesa sulla collaborazione nell’ambito della “Via delle Seta Economica” e dell’Iniziativa per una via delle seta marittima del 21° secolo, del Protocollo d’intesa per la promozione della collaborazione tra start up innovative e tecnologiche e del memorandum d’intesa sulla cooperazione nel settore del mercato elettronico. L’Italia era stata l’unica tra i Paesi G7 a raggiungere questo tipo di intesa con la Cina.