TRIESTE – Centinaia di milioni pronti per essere spesi, progetti di sviluppo già pronti ma anche tante risposte che spetteranno al prossimo presidente. Zeno D’Agostino, alla guida dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale, ma anche dell’associazione dei porti europei (Espo) fa il punto della situazione dal punto di vista di un territorio delicato e peculiare. Nel frattempo si è interrotto l’accordo con la Cina, è scoppiata la crisi del Mar Rosso e MSC si è comprata metà di HHLA, la società tedesca che dovrebbe costruire il secondo terminal del porto di Trieste.
Presidente D’Agostino, una delle novità più importanti del 2024 per l’Authority di Trieste e Monfalcone potrebbe essere l’utilizzo dell’art. 17 lontano dalle banchine come già fatto da Adriafer, cosa può significare in prospettiva futura?
«Fondamentalmente è la naturale evoluzione del nostro processo di insourcing delle attività portuali, soprattutto di quelle che gestiamo come servizio di interesse generale. Per cui da questo punto di vista c’è una totale integrazione tra le società partecipate dell’Autorità di sistema portuale e questo significa quello che ha già significato, cioè non è un processo, un’azione che nasce individualmente. È un processo continuo di integrazione, perché questo ci porta a un miglior coordinamento dei servizi generali nei confronti del mercato, gestiti dall’Autorità. La nostra visione che tutti conoscono molto bene, è che se il pubblico gestisce direttamente o indirettamente questi servizi, il porto funziona meglio e siccome siamo in un periodo di shock, di variabili imprevedibili che colpiscono in generale il settore, in particolare il porto e il sistema portuale, la capacità di un coordinamento diretto di questi servizi da parte dell’Autorità di sistema portuale ci permette di essere più competitivi e più socialmente sostenibili».
Crisi in Mar Rosso, guerra in Ucraina e in Mar Nero, qual è la prospettiva dai porti di Trieste e Monfalcone?
«La prospettiva è che, come si è sempre detto, cerchiamo di essere un porto multisettoriale e un sistema che sviluppa attività che sono integrate, complementari a quelle tradizionali o addirittura totalmente nuove. Perché facciamo tutto questo, perché facciamo questo sforzo? Perché ormai dobbiamo abituarci che gli shock, soprattutto negativi, saranno sempre più frequenti. Non ci aspettavamo la guerra nel Mar Rosso, piuttosto che il Covid, piuttosto che la guerra in Ucraina. A questi shock ci dobbiamo abituare e se un porto investe su più alternative, su più possibilità, è chiaro che riesce a uscirne meglio degli altri. L’esempio di questa crisi nel Mar Rosso è esemplare, è indicativo.
Abbiamo iniziato a creare relazioni non solo con la Turchia, ma anche con l’Egitto e con il Marocco da circa un anno, perché avevamo visto come le filiere si stavano accorciando e come alcuni Paesi che stanno al di qua di Suez stanno diventando protagonisti in questo processo di riallocazione dell’industria a livello globale. Quindi, siamo partiti con questa attività per sviluppare, per esempio, servizi marittimi Ro-Ro all’interno del Mediterraneo. Di fronte a questa crisi, è chiaro che queste scelte si dimostrano scelte avvedute, perché, fondamentalmente, creare dialogo con Paesi, con soggetti, con porti che stanno al di qua di Suez oggi è la scelta giusta, visto che Suez ha delle problematiche. Sapevamo che gli Houthi avrebbero attaccato le navi? No, non lo sapevamo, ma stiamo tutti i giorni attenti a quelle che sono le naturali evoluzioni del mercato e cerchiamo di anticipare queste mosse o comunque di creare attività armoniche a queste mosse, e quindi in questo modo riusciamo poi ad avere qualche risposta probabilmente più competitiva rispetto ad altri porti a crisi che sono sicuramente imprevedibili».
MSC si è comprata mezza HHLA, vede criticità per lo sviluppo del secondo terminal container al porto di Trieste?
«Bisogna essere precisi, MSC si è comprata mezza HHLA meno un 1%. Questo va sempre ricordato. Quindi il 51% è ancora in mano alla città-Stato di Amburgo e la città-Stato di Amburgo ha deciso di aumentare il capitale di HHLA PLT Italy portandolo a 48 milioni. È il terminal, è la società concessionaria in un porto italiano più capitalizzata: penso che sia un gesto veramente chiaro che il secondo terminal container del porto di Trieste stia negli obiettivi di HHLA, anche se c’è in ballo questo acquisto di MSC».
L’ipotesi del porto di Trieste come terminale della Nuova Via della seta è tramontata assieme agli accordi del 2019. Ma cosa ci perde, in realtà, lo scalo?
«Ci perde quello che volevamo fare in Cina, che è la parte dimenticata di quell’accordo e che invece era la parte fondamentale di quell’accordo, mi permetto di dire probabilmente il 99%. Quell’accordo non diceva nulla relativamente a quelli che erano investimenti cinesi a Trieste, invece diceva molto chiaramente quello che volevamo fare in Cina. E siccome questa era una prospettiva molto interessante per le nostre aziende, questa è una perdita importante per le aziende, non solamente per il porto, ma per le aziende di quelle filiere, per esempio quella vinicola, che noi volevamo portare ad esportare in Cina».
Monfalcone sta crescendo e attende l’escavo entro l’anno. L’Authority sta investendo in infrastrutture ferroviarie. Fin dove può arrivare lo scalo?
«Dobbiamo cominciare a capire che Monfalcone è perfettamente complementare al porto di Trieste e in alcuni casi può essere anche un ottimo sostituto. Chiaramente l’unico handicap di Monfalcone è l’accessibilità marittima, per cui noi potremmo pensare che per navi che non hanno bisogno di un certo tipo di pescaggio, Monfalcone deve diventare il punto di riferimento, Quindi in questo momento non pongo limiti a Monfalcone: può crescere come sta già facendo già e molto di più».
A che punto è il sistema logistico regionale al quale state lavorando in coordinamento con la Regione Fvg? Quali sono le criticità ancora da affrontare?
«Si dialoga insieme, chiaramente in un mondo così variabile, variegato non è semplice cercare di capire come investire. Le criticità sono fondamentalmente finanziarie, abbiamo molte idee, molte proposte, molte opportunità, poi però servono investimenti importanti per mettere a terra progetti, infrastrutture nuove che caratterizzano soprattutto Cervignano e altre realtà del sistema logistico regionale».
In Italia si discute della nuova governance delle Authority. Quale sarebbe per lei la soluzione migliore per razionalizzare le Autorità di sistema portuale, anche alla luce delle indicazioni della Commissione UE?
«Ho già detto che per quanto mi riguarda il soggetto centrale che definisce determinate strategie a livello nazionale dei porti è una priorità, e lo è anche nel dialogo su questi temi con la Commissione. Serve un dialogo continuo, una dialettica continua con la Commissione su questi temi, non sono le sentenze a dire come ci dobbiamo comportare. Altri Paesi dialogano di più con la Commissione, dobbiamo farlo anche noi. Però serve un soggetto specifico che conosca molto bene i porti, quindi prima di tutto va fatto questo tipo di passo e poi dopo si può ragionare sulla periferia, ma il tema vero sta al centro, sta a Roma».
Istituzioni e residenti sul territorio si sono dichiarati più volte molto soddisfatti del suo lavoro alla guida dell’Authority. Quali gli scenari alla scadenza del suo mandato, tra poco meno di un anno?
«Gli scenari sono che non posso più continuare a fare il presidente, quindi non lo so, mi sembra che sia abbastanza chiaro qual è lo scenario. Poi non so se sono tutti proprio così contenti del mio lavoro alla guida dell’Authority. Questo è un tema: qualcuno non è proprio contentissimo del mio lavoro».