TRIESTE – Efficienza logistica, intermodalità, sviluppo delle aree retroportuali e transizione energetica.
Sono queste le sfide che dovrà affrontare il sistema portuale italiano per vincere il confronto della competitività nei prossimi anni, secondo l’analisi di “Italian Maritime Economy” 2024 di SRM, il periodico rapporto del Centro Studi del Gruppo Intesa Sanpaolo, pubblicato nei giorni scorsi.
Quattro i fronti sui quali agire, secondo gli esperti, ad iniziare dal miglioramento dell’efficienza logistica, riducendo i tempi di stazionamento delle navi che risultano decisamente elevati rispetto ai principali concorrenti (il tempo medio di attesa nei porti italiani si attesta a 1,28 giorni contro 0,54 nei Paesi Bassi e 0,86 in Spagna). Sarà poi necessario potenziare servizi e infrastrutture per l’intermodalità, cruciali per il rilancio e lo smistamento delle merci: da un sondaggio SRM, il 20% delle imprese manifatturiere ricorre all’intermodale. Un altro punto focale sul quale agire riguarda lo sviluppo delle aree retroportuali, attraverso la piena implementazione della Zona Economica Speciale del Mezzogiorno (ZES) e delle Zone Logistiche Speciali (ZLS), strumenti cruciali per incoraggiare gli investimenti e l’insediamento di nuove imprese. Si dovrà, infine, promuovere l’efficientamento degli scali in ottica green, puntando in particolare sul cold ironing, sullo sviluppo di infrastrutture per l’accosto di navi GNL/dual fuel o alimentate da combustibili alternativi (ammoniaca, metanolo, idrogeno) e sull’abilitazione all’uso di energie rinnovabili in porto.
Lo studio raccoglie e analizza tutti i dati e le dinamiche che interessano i settori shipping, portuale e logistica, fornendo una puntuale situazione e previsione relativa al commercio via mare globale, con un focus sul Mediterraneo e sull’Italia, che purtroppo viene sempre più segnato da questioni geopolitiche e da dannosi eventi climatici.
Il rapporto 2024 fornisce i dati alla fine del primo semestre parametrizzandoli a quelli del 2023 e proiettandoli anche per il futuro. In sintesi, il commercio via mare globale vede un +2,2% nel 2023 raggiungendo i 12,3 miliardi di tonnellate con una previsione di crescita del 2,4% nel 2024 e del 2,6% nel 2025. L’analisi affronta l’attuale situazione nel Mar Rosso che, se da una parte, nonostante le tensioni e i conflitti in atto, non vede l’interruzione del flusso dei trasporti marittimi, con stime che prevedono una crescita media annua al 2028 dei traffici container del Mediterraneo di poco più del 3% contro il 2,5% della media Mondo, dall’altra sottolinea quanto la situazione geopolitica, tra gennaio e giugno 2024, abbia portato una significativa riduzione dei transiti medi giornalieri di Suez che sono passati dai 71 passaggi dell’anno precedente a 37. A risentirne di più le navi portacontainer (-69% dei passaggi), le Car Carrier (-84%) e le gasiere (-93%). Lo studio riporta anche i dati di Drewry World Container Index (DWCI) che evidenzia un +233% nell’ultimo anno per quanto riguarda i noli sui container, che al 20 giugno 2024 ha superato i 5.100 dollari. Restando sul tema del trasporto container, i primi 20 vettori marittimi al mondo hanno quasi raddoppiato la loro quota di mercato, passando dal 48% 2012 al 91% del 2024. I processi di integrazione verticale (M&A nell’ambito della filiera) hanno visto la realizzazione di 5 miliardi di investimenti nel 2023. Anche il traffico marittimo a corto raggio ha registrato il dato più intenso di sempre a livello europeo nel Mediterraneo, con quasi 600 milioni di tonnellate movimentate.
Spostandosi sul territorio italiano, il rapporto dedicata un approfondimento alla situazione portuale, sottolineando la funzione di hub logistico tra Nord Africa ed Europa continentale per effetto dei nuovi equilibri commerciali sviluppatisi in ottica Mediterranea, oltre ad essere tra i maggiori esportatori a livello mondiale. Infatti, l’Italia è sesta in classifica dopo Cina, Stati Uniti, Germania, Olanda e Giappone. Tra questi grandi Paesi, inoltre, presenta una elevata incidenza del rapporto Export+Import/Pil (terzo al Mondo dopo Olanda e Germania).
I porti italiani, secondo lo studio, rappresentano uno strumento a sostegno del sistema industriale, e ne supportano l’internazionalizzazione, dato che il 28% dell’import/export in valore e il 50% in quantità utilizza la nave (dati al 2023). L’Italia importa via mare prevalentemente dalla Cina ed esporta soprattutto verso gli USA e può far leva sulla sua leadership indiscussa nello Short Sea Shipping: è il primo Paese in Europa per volume di merci movimentate: 305 milioni di tonnellate, con una quota di mercato superiore al 17% del totale, davanti a Paesi Bassi (16%), Spagna (13%) e Germania (9%). Il valore della Blue Economy italiana è stato pari a 59 miliardi di euro e le 228 mila imprese del cluster marittimo, pari al 3,8% del tessuto imprenditoriale italiano, danno lavoro a 914 mila occupati, il 3,6% del totale.
La portualità italiana, multipurpose variegata e strutturata, svolge un ruolo prioritario, con un valore prodotto pari a 8,1 miliardi di euro, il 17,5% del totale dell’economia del mare. La movimentazione nei porti nel 2023 hanno registrato oltre 474 milioni di tonnellate di merci, con una riduzione del 3,2% sul 2022, che riflette il rallentamento del ciclo economico. Gli scali italiani gestiscono prevalentemente rinfuse liquide, container e Ro-Ro, ed è quest’ultima tipologia che si sta confermando la principale tra le merci solide e l’unica, nel 2023, a riportare una variazione positiva (+0,4%).
I porti italiani per i quali il segmento energy è preponderante (35% del totale), infine, stanno affrontando una rivoluzione energetica che li vedrà impegnati a rendere più ecologiche le proprie attività, divenendo dei veri e propri hub energetici. In previsione, potranno ricoprire un ruolo importante nel percorso verso la transizione “green”, contribuendo a generare sinergie tra le due sponde del Mediterraneo, valorizzando la presenza in Nord Africa di grandi fonti di energia rinnovabile.