TRIESTE – Sono stati abbattuti ieri sera a Trieste cinque manufatti facenti parte dell’ex stabilimento siderurgico della Ferriera.
«Qualcuno ha espresso disappunto perché festeggiamo la demolizione della Ferriera. Ma non è così. Oggi si vuole festeggiare una nuova fase per la città di Trieste» ha detto Vittorio Petrucco, presidente di Icop, società che sta gestendo il futuro di quell’area di espansione del porto di Trieste. Si tratta delle più grande opera di demolizione con esplosivo eseguita quest’anno in Italia: 300 chilogrammi di dinamite, 570 esploditori e più di 500 metri di micce sono servite per buttare giù cinque manufatti che facevano parte della storia della città. Una storia iniziata 125 anni fa l’entrata in funzione dell’impianto nel 1897, al servizio della rivoluzione industriale dell’Impero Asburgico e realizzato dalla Krainische Industrie Gesellschaft di Lubiana. Diventata italiana negli anni ’20, dal 1931, entrò a far parte di ILVA (IRI-Finsider), per essere poi privatizzata nel 1988. Dal 2015 l’intero impianto era stato acquisito dal gruppo Arvedi. Nel frattempo le polemiche per l’inquinamento e la consapevolezza che uno stabilimento siderurgico che pur aveva dato da vivere a tante famiglie sul territorio, non poteva continuare ad esistere a due passi dal centro città.
Nell’area sgombra, una volta concluse le demolizioni e dopo i lavori di asporto del materiale, sorgerà un nuovo terminal ferroviario a servizio della piattaforma logistica e del futuro Molo VIII. Sono già stati completati i progetti per nuova viabilità, per la messa in sicurezza permanente e il barrieramento a mare. In due anni dalla chiusura dell’area a caldo della Ferriera ai nuovi lavori: tempistiche quasi da record, considerando la burocrazia italiana. Oggi resta sul tavolo l’importante disponibilità – 180 milioni di euro – del Fondo complementare al Pnrr, per la realizzazione delle opere. «Ciò che verrà fatto al posto della Ferriera sarà una piattaforma intermodale per lo sviluppo della logistica, che permetterà di sviluppare anche altre parti del porto» ha sintetizzato ieri il presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale, Zeno D’Agostino.
Prima delle esplosioni si erano confrontati in una tavola rotonda introdotta il ministro Stefano Patuanelli, il presidente della Regione FVG Massimiliano Fedriga, l’assessore regionale Fabio Scoccimarro, il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza e lo stesso il presidente dell’Authority Zeno D’Agostino.
Ora l’attenzione si sposta sull’attuazione dell’Accordo di Programma del 2020 tra Arvedi (che ha avviato un laminatoio a freddo), Icop e le parti pubbliche. «Rimane il tema fondamentale del rispetto dei tempi a cui tutti, pubblico e privato, si sono impegnati per realizzare quanto previsto: arrivare tardi significherebbe perdere il treno. Abbiamo una grande opportunità e dobbiamo coglierla» non manca di sottolineare Vittorio Petrucco, presidente di Icop.
L’accordo di programma rappresenta un passaggio fondamentale verso una fase di nuova industrializzazione del territorio, in cui vengono coniugati sviluppo avanzato e sostenibilità. L’accordo ha un’architettura giuridica complessa, sperimentata per la prima volta in Italia e l’obiettivo di riuscire a tenere insieme produzione industriale, salvaguardia dell’occupazione e rispetto dell’ambiente.
Sono previsti, infatti, la bonifica e lo sviluppo delle aree per 25 ettari: uno dei progetti più importanti in fase di avvio in Italia, finalizzato alla conversione green di siti industriali caratterizzati da rilevanti problematiche ambientali. Nell’area nascerà un polo logistico sostenibile a servizio del porto e dell’economia del territorio. In base all’accordo, si prevedono cinque anni per la riconversione, suddivisi in tre fasi. Saranno sviluppati il raccordo ferroviario della stazione di Servola (per treni da 750 metri), il collegamento autostradale diretto con la Grande viabilità, le basi per il successivo avvio dei lavori del Molo VIII (previsto dal Piano regolatore portuale approvato nel 2016).