TRIESTE – Doveva essere una vacanza natalizia tra Australia e Nuova Zelanda, ma i quasi 800 passeggeri ospiti della Viking Orion sono a bordo – bloccati a 16 miglia dalla costa di Adelaide – dal 28 dicembre a causa del cosiddetto biofoul.
Il termine, piuttosto generico, indica le infestazioni della chiglia delle navi, che possono essere potenzialmente pericolose se raggiungono ecosistemi delicati, o comunque diversi dagli habitat dei microrganismi. Questi i motivi per i quali le severe leggi di Australia e Nuova Zelanda non hanno permesso l’attracco nei porti previsti dal viaggio. I sommozzatori specializzati stanno già provvedendo alla pulizia e la Viking Orion dovrebbe attraccare entro i prossimi giorni a Sidney, porto di arrivo lungo l’itinerario che in teoria comprendeva Auckland e poi la Nuova Zelanda.
La presenza dei microorganismi infestanti ha tenuto la nave al largo, tra le proteste dei crocieristi, ai quali è già stato promesso un indennizzo per i disagio subito.
L’Australia richiede già da tempo che qualsiasi nave con biofoul sullo scafo venga trattata in un bacino di carenaggio. Oggi però, le nuove tecnologie consentono la rimozione del biofoul con l’imbarcazione in acqua, attraverso un complesso processo di pulizia e filtraggio degli scarti.
Uno degli studi per applicare queste tecnologie alle imbarcazioni di piccole e medie dimensioni è stato condotto negli anni scorsi a Portorose in Slovenia. Si trattava del progetto GreenHull, che aveva come partner italiani Comet e Corila. Il primo, con sede a Pordenone, è il Cluster della Metalmeccanica in Friuli Venezia Giulia, con sede a Pordenone e la partecipazione di enti e associazioni (tra queste anche Confindustria) e soggetti privati. Il secondo è il Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti il sistema lagunare di Venezia; un’associazione tra Università Ca’ Foscari di Venezia, Università IUAV di Venezia, Università di Padova, Consiglio Nazionale delle Ricerche e Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale.